Covid e imprese: dove è più alto il rischio infiltrazioni
Diecimila cambi di titolari effettivi tra marzo e ottobre 2020. Il numero più alto in Lombardia, l’incidenza maggiore a Crotone
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Il rischio infiltrazioni nei dati nazionali
Imprese, interi settori, nelle secche della pandemia. Liquidità, da sempre così ampia negli ambiti criminali, pronta all’uso, per irrorare spazi nuovi, sani, lavare denaro sporco ed entrare ulteriormente e a pieno titolo in ambiti di specchiata legalità.
Il rischio di riciclaggio e di infiltrazioni criminali nelle imprese, rese più vulnerabili nell’ultimo anno tra lockdown e restrizioni, è evidentemente in aumento.
Nel 2020 il numero di segnalazioni di operazioni sospette (SOS) ricevute dalla Uif (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) è cresciuto del 7%, segnala Banca d’Italia, con una curva che sale nel secondo semestre (+10,3%).
La crescita delle operazioni sospette è guidata da segnalazioni per riciclaggio (+11,1%), per circa 60 mila casi.
I cambi di titolarità effettiva su base territoriale
E cresce in maniera elevata un indice di riferimento su possibili infiltrazioni: i cambi di titolarità “effettiva” nelle imprese. Su 700mila società di capitali analizzate, segnala il Cerved, ne sono circa 10mila. L’1,3% del totale, nei soli sette mesi che vanno da marzo a ottobre 2020.
Più di un quarto si concentrano nella sola Lombardia (2.131 casi), l’incidenza più alta è invece in Campania (1,8%) e nel Lazio (1,7%).
L’ambito provinciale dove il fenomeno è emerso maggiormente rappresentato è Crotone (2,2%), seguito da Isernia (2,1%), Napoli (2,0%) e Catania (1,8%).
I settori più esposti
I settori più interessati dai cambi di titolarità effettiva? Nella macrodivisione prevale l’ambito dei “servizi non finanziari” che annovera al suo interno non solo la ristorazione (586) storicamente oggetto di grande attenzione da parte di ambienti criminali, ma anche la distribuzione (1.954) e le costruzioni (1.295).
A livello più disaggregato, la maggiore incidenza dei cambi di “titolare effettivo” analizzati da Cerved nel 2020 si registra tra autonoleggi (2,9% del totale), la distribuzione di carburanti (2,8%) e i giochi e le scommesse (2,4%).
La natimortalità delle imprese tra segno più e preoccupazioni
Una lettura distratta dei dati relativi al 2020 di Unioncamere/Infocamere potrebbero far pensare che non sia andata poi complessivamente così male in termini di natimortalità delle imprese. Con 292mila iscrizioni e 273mila cessazioni, infatti, il saldo appare – seppure di poco – positivo (+0,32%).
Con uno stock di imprese registrate al 31 dicembre dello scorso anno, con dentro naturalmente di tutto, dalla multinazionale alla piccola partita iva, che supera i 6 milioni di unità (6.078.031).
Ma, c’è un “ma”. E non è tanto legato al confronto con il passato, dal quale pure emerge che le iscrizioni diminuiscono del 17,2% su un anno prima a fronte di cessazioni che calano del 16,4%. Numeri troppo alti di iscrizione e di cessazione, infatti, non sono necessariamente un indice positivo, in quanto possono implicare una durata media delle attività registrate di pochi anni e quindi un tessuto imprenditoriale più fragile. Preoccupano piuttosto i prossimi dati.
Le cancellazioni di attività dal registro delle imprese, infatti, si concentrano nei primi tre mesi dell’anno e pertanto sono i dati relativi al periodo gennaio-marzo di quest’anno ad essere attesi come drammatici. Val la pena non aspettare, naturalmente per intervenire.
Se le cifre ufficiali, infatti, diranno di più nel dettaglio, restano due fatti confermati e sui quali occorre fare più strutturate riflessioni: il numero di imprese attive registrerà un calo elevato, il numero di infiltrazioni criminali nell’economia sana tende a crescere in maniera impetuosa. Due fenomeni che letti assieme destano più di qualche preoccupazione.