Perché è giunto il momento di rendere identificabili gli agenti di polizia
Senso di comunità e fiducia nelle istituzioni in ribasso
C’è una divaricazione forte tra le persone sulla guerra, sulle cause e su cosa è necessario fare, c’è una sfiducia assai diffusa e da
tempo nelle Istituzioni a tutti i livelli e nelle forze dell’ordine, per più ragioni.
Qui, in Italia, va ricordato sempre, c’é stata “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” come ha incisivamente evidenziato Amnesty su Genova 2001, una ferita ancora aperta dopo oltre vent’anni.
E sempre qui é accaduto che un ragazzo, Stefano Cucchi, è entrato in caserma vivo e ne è uscito morto. E ci sono voluti 13 anni per vedere riconosciute responsabilità penali in capo a due carabinieri: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.
E come se non bastasse, nel Paese c’e poi anche una serpeggiante fascinazione – a tratti incredibile – per ordinamenti diversi dalla democrazia, c’è chi guarda con esotica passione alla Russia o alla Cina.
Qualche volta sembra lo sguardo di chi indossa ancora le lenti del novecento, in altri casi la fascinazione è dettata dall’efficienza, dalla tempestività, dalla rapidità di traduzione delle scelte politiche in azioni concrete e conseguenti. Ah, come funzionano bene sti totalitarismi! Pare pensare qualcuno.
La democrazia a rischio e l’assuefazione a subire controlli
La democrazia, insomma, non è messa benissimo. Anche perché gli spazi di espressione della stessa si sono ristretti. La pandemia ha determinato una forte riduzione della libertà individuale, la guerra rischia di fare il resto. Si profila uno scenario per nulla rassicurante, con una diffusa abitudine a considerare controlli, intervenenti di forza, limitazione dei diritti dell’individuo come contemplabili. Per nulla sorprendenti.
Altro che capitalismo della sorveglianza, vi è una sorveglianza che travalica il capitalismo e riguarda semplicemente il potere, quale che sia. Si finisce per ritenere plausibili, per esempio, display pubblicitari che contengono telecamere che registrano e quindi controllano chi passa per strada. Come recentemente é emerso, per esempio, a Napoli.
Le camionette e i militari per le strade urbane
E non ci si è abituati, forse, alla presenza di una camionetta con i militari nelle piazze principali delle città?
Era il 2008 quando partì l’operazione “strade sicure”, da allora i militari in strada sono stati riconvertiti ad altre e nuove finalità, dal presidio nella fase di esplosione del terrorismo internazionale, alla funzione di controllo del rispetto delle restrizioni nel susseguirsi delle quarantene e delle zone a colore variabile.
Chissà se qualcuno si sentirà rassicurato da queste presenze divenute consuete, da queste camionette erte a comune arredo urbano, da giovani in divisa che viene bene il selfie con qualche turista. Non è colpa loro, naturalmente, e in alcuni casi l’impiego, come si affannano a ripetere i capi delle forze dell’ordine a ogni audizione parlamentare, é stato veramente utile. Nella terra dei fuochi, per esempio.
Per il resto è poco rassicurante immaginare che per i più occorrano i militari per strada per sentirsi sicuri. E anche sul piano estetico l’istantanea non giova né alla storia del Paese, né al senso stesso della democrazia.
Per cui se, come e probabile, qualche forza politica penserà di cogliere la palla al balzo della guerra per rilanciare la presenza dei militari in strada (ora che invece lentamente si va, dice la legge di bilancio, verso una riduzione del loro impiego) bisognerà, Comuni in testa, dire che no, che ci sono professionalità pubbliche che occorrono ma non sono quelle o se sono quelle ci sono attività più utili che il presidio diurno nelle piazze principali della città.
L’identificazione delle forze dell’ordine, l’ora di prevederla anche in Italia
Ma é soprattutto giunto il momento di fare un’altra cosa, una cosa semplice, senza sostanziali costi, di grande senso pratico oltre che simbolico.
É il momento di rendere identificabili gli agenti di polizia impegnati in qualsiasi operazione, tanto più se in tenuta antisommossa.
È questa l’occasione per rilanciare la sostanzialità di una ispirazione democratica, di marcare una differenza netta rispetto ad altri modelli non democratici, di restituire un po’ di fiducia nelle Istituzioni e recuperare qualche punto anche sul piano internazionale.
Misure di identificazione degli agenti di polizia, come ha ricordato recentemente il fondatore de L’internazionale, Giovanni Di Mauro, infatti non sono già presenti solo in Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Spagna e Svezia. Ma anche in Bulgaria, Croazia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, finanche in Ungheria. Perché in Italia ancora no? E quale migliore momento se non questo per farlo?